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Panificio e Pastificio Cirigliano: le impronte coraggiose di Vito Cirigliano

La narrazione galleggia nomi propri e annualità, debiti e traguardi, visioni e risolutezza. Una carovana di esperienze di cui cerco di recuperare la consistenza attraverso il nugolo di note che Vito Cirigliano sdrucciola tra i suoi nitidi ricordi.  Una consistenza che ha il volto morbido del pane appena sfornato, l’essenza familiare del pranzo domenicale, le mani compatte e lo sguardo coraggioso dell’imprenditore moderno. Tra gli anni ’60 e ’80, avvia un’avventura solida etichettata Panificio Cirigliano e Pastificio Cirigliano Vito e Figli Srl.  Un florilegio intelligente di opportunità e rischi traghettata anche sulle tavole della nostra mensa scolastica, che veicola profumi di realizzazioni personali e sviluppo locale.

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Una trama ricca di vita, generosa come i chicchi di grano in Estate, che Vito sfalda tra episodi e insegnamenti, paragrafi puntuali e valutazioni. Dai soli tre mesi di frequenza della Prima elementare a un fabbricato allestito nel 1966 con un forno capace di produrre 24 quintali di pane in una giornata, a un terreno di 3300 metri quadri che promuove dal 1986 la sapienza culinaria della pasta lucana. Progetti imprenditoriali con sedi, rispettivamente, nei Comuni di Castelsaraceno e Moliterno. In mezzo, il sogno di quelle cinquantamila lire guadagnate in Svizzera nel 1961 con un impiego stagionale da manovale, il suo primo viaggio in treno, la scuola serale che gli insegna a fare i calcoli e orientarsi tra le tabelline, una tempra orgogliosa e lungimirante. Una trebbiatrice, un mulino e gli ottocento quintali di grano che il suo territorio, Castelsaraceno, gli offriva. Una montagna di materie prime genuine e la traccia di una filiera che organizza la fruizione del prodotto finito. Orfano di mamma dall’età di due anni, un’infanzia vissuta tra le coccole dei nonni all’ombra del papà al fronte del secondo conflitto mondiale, Vito oggi a 82 anni emana un bagliore particolarissimo, quello di chi ripercorre le tappe di un sentiero con la soddisfazione esperta del viandante che continua a guardarsi intorno in cerca di nuove sfumature. Avido di vita, ricompone questa cosmologia di tecniche e creatività, raccontando con entusiasmo delle sue invenzioni artigianali, dei suoi macchinari, dell’esigenza curiosa che motivò quei marchingegni a cui allude indicandomi i rispettivi prodotti partoriti, delle esportazioni a New York dei Ferricelli. Ma, più che lo sbarco della distribuzione tra il Vecchio e il Nuovo Continente, quello che Vito mi affida è soprattutto l’emozione che gli procura il lavoro dei suoi quattro figli. Un foglio di futuro umido di parole, un ponte generazionale fatto di cura e fiducia reciproca, investimenti e utile, emigrazioni al contrario sul filo rosso dei radicamenti e dei legami familiari. Un’economia che mantiene la sua complessità etimologica, la sua dimensione domestica, così localizzata eppure così ramificata. Un marchio di qualità e di tradizioni che parla il linguaggio della famiglia Cirigliano anche da scaffali a mille miglia da Castelsaraceno. Un packing che parla del loro garbo e della loro comunità. Della cultura del sacrificio e della determinazione di Vito. I suoi occhi sottolineano più volte, come il ritornello di un disco che si imprime nell’animo di chi lo ascolta, il valore che assumono l’intensità con cui si crede nelle proprie idee, per il merito e il successo delle stesse, e la responsabilità che chi ci circonda ha nell’incoraggiarci o denigrarci. Nello stimolarci o ostacolarci. Negli scambi che sapranno offrirci o nella chiusura culturale a cui si condanneranno. Vito, che nella sua vita sembra aver sempre tergiversato l’inibizione della paura, si dichiara innamorato della tecnologia, del progresso, della sperimentazione e dell’amicizia. Un’onda di entusiasmo e di amore per la vita che straripa e ritirandosi rende fertili i passi così fermi delle sue impronte. Uno specchio del carattere con cui ha forgiato le sue attività, oggi portate avanti da Angela Maria, Roberto, Egidio e Enzo, con umiltà e competenza, da una decina di collaboratori e da numerosi, fidelizzati consumatori. Un’immagine dell’uomo vitruviano, così al centro di se stesso eppure così filantropico nelle sue azioni, così talentuoso nella sua capacità di sbagliare e correggersi, così orgoglioso del suo potere di creare, anticipare i tempi e di condividere i prodotti delle sue esercitazioni, come gli artisti nelle botteghe rinascimentali. Un groppone, un quadro di tinte armoniose e solchi profondi, come quelle rughe, quei filamenti di grano che la pasta conserva con sé anche sulle nostre tavole. L’esperienza di Vito, che ha valorizzato con un’aspirazione lavorativa questa terra lucana abitandone le potenzialità fino in fondo, arriva dritto al cuore, infondendo il gusto così deciso alimentato dal coraggio dell’opportunità e dall’industria delle idee.

Giusi Giovinazzo